Un bivio per Renzi Il presidente del consiglio Matteo Renzi domenica scorsa ha detto di essere disposto ad un’ulteriore riflessione sulle Riforme. Fra i critici si annoverano persino alcuni degli autori sui cui testi Renzi ha studiato. Una dimostrazione di umiltà intellettuale apprezzabile, anche se non è chiaro dove Renzi intende incontrare i suoi critici. Per riformare il sistema istituzionale della Repubblica, sarebbe servita un’adeguata riflessione, che ancora deve essere fatta, tant’è che ci si immagina di poter convocare i professori, quando la settimana scorsa, il ministro Boschi sosteneva che le riforme il governo le poteva fare benissimo da solo. Prima ancora delle parole del ministro Boschi e del premier ci sono state quelle di Berlusconi, improvvisamente contrario alla riforma del Senato così come era stata formulata. Renzi se l’è presa: ha redarguito Berlusconi, giustamente, per le accuse gratuite alla Germania e lo ha definito come l’altra faccia della stessa medaglia di Grillo. E questo però è stato un errore. Perché se Berlusconi e Grillo si convincessero di essere le due facce “della stessa medaglia”, il governo Renzi andrebbe a casa seduta stante, dato che il Senato ancora non è stato soppresso e Berlusconi con Grillo potrebbe ribaltare la maggioranza. Beato Renzi che si sente in una botte di ferro, convinto che Grillo e Berlusconi in quanto facce diverse della stessa medaglia, non possono sovrapporsi. In effetti, al Senato, l’accordo, Grillo lo ha trovato con la minoranza del Pd. Non è che stiamo per assistere ad un cambio in corsa della riforma del Senato? Con il che ci accorgeremo che tutto l’impianto riformatore di Renzi si sta per sbriciolare. Il titolo V ad esempio, lo voleva riformare solo Berlusconi, non certo il Pd i cui interpreti al tempo del governo Amato lo approvarono, per poi bocciare nel 2007 da un referendum popolare la proposta di riforma. Il “job act”, in commissione lavoro è stato modificato dai rappresentanti del Pd, la coda della Cgil, che di riforma del mercato del lavoro non ne vuole nemmeno sentire parlare. Resta la legge elettorale. Ci manca solo che un governo eletto sulla base di un mandato elettorale considerato incostituzionale dalla suprema Corte, pretendesse di imporre una legge elettorale a colpi di maggioranza. Evidentemente il ministro Boschi non sa cosa dice. Ma ammettiamo che il gentile ministro avesse ragione su tutto e fossimo noi a sbagliarci, per cui i professoroni, la Commissione lavoro della Camera, il Senato della Repubblica, si piegassero a Renzi come a un Cesare tornato vincitore dalla Gallia. Che senso avrebbe, allora, per il governo varare una legge elettorale tale da scompaginare la sua stessa maggioranza? Sarebbe come se Cesare avesse disperso le truppe appena entrato in Roma. Non che noi prendiamo sul serio i sondaggi, apparteniamo ad una tradizione politica che ha la vista lontana e capisce al volo dove si butta l’elettorato del Paese. E pure, il calo del Pd nei sondaggi di quest’ultima settimana, dopo la formidabile proposta degli 80 euro in busta paga, e il contemporaneo aumento di due punti percentuali delle liste di Grillo, fa pensare. Il sospetto che tutti coloro che non usufruiranno del bonus, la massa dei meno abbienti, si sia inferocita e allineata a Grillo, dovrebbe passare per le teste di Renzi e Boschi. Certo è passato per la testa di Berlusconi. Il Pd si vede come è schierato, e il ministro Boschi, ascolti chi ha più esperienza di lei: da sola, una maggioranza prossima a dissolversi, non va da nessuna parte. Roma, 28 aprile 2014 |